Te lo sei mai chiesto?
Era la domanda che ci facevamo da bambini - la Marvel non aveva ancora colonizzato l’immaginario collettivo in modo invasivo come ora- e le risposte potevano variare dalla capacità di saltare un cespuglio più alto di noi a quello di far evaporare le nuvole col pensiero.
Facevamo a gara a chi avesse più superpoteri e, come spesso accade quando si cerca qualcosa in sé stessi, osservavamo le altre persone per spiare quali fossero le capacità altrui.
Un’amica riusciva a scrivere un testo alternativo a quello originale di canzoni sentite solo una volta.
Un’altra riusciva a sostenere le proprie convinzioni, anche quando palesemente errate, davanti a tutti, persino agli adulti più severi. La spuntava sempre.
Una donna anziana riusciva a sistemarmi qualunque slogatura con l’uso di un pezzo di sego rancido e rapidissimi movimenti delle mani. In quella casa dall’odore di aia ho provato a entrare zoppicando e a uscire cinque minuti dopo pronta a correre di nuovo. (Una volta era comune il mestiere dello sciopa i òss, ossia il “rompi ossa”… Saluto la mia osteopata con affetto che sarà inorridita a leggere ciò).
Un bambino di sei anni, che frequentava con me la scuola di musica, riusciva a distinguere venti note suonate contemporaneamente al pianoforte. Associava con estrema facilità sia i fonemi alle lettere dell’alfabeto che le vibrazioni sonore alle note.
Quanto quei superpoteri che cercavo di scoprire da bambina hanno a che fare col talento?
L’origine del talento
Il termine viene dal greco τάλαντον (talanton) e significava bilancia, peso.
Il τάλαντον, presente non solo nella Grecia classica ma anche in Babilonia, in Egitto e nel mondo romano, divenne un’unità di peso di metalli preziosi.
La moneta, che non è altro che un certo quantitativo di metalli preziosi con cui era possibile effettuare compravendite, prese poi il nome di talento.
Perché il termine, però, da moneta si trasformi in metafora dei superpoteri, bisogna attendere l’avvento dei Vangeli e, in particolare, quello di Matteo.
La parabola dei talenti racconta che, prima di partire per un viaggio, un padrone affida alcune monete ai servi. Cinque talenti a uno, due talenti al secondo e al terzo uno soltanto. Mentre i primi due servi li investono e riescono a raddoppiare l’importo della somma ricevuta in partenza, il terzo, invece, decide di sotterrarlo per paura di perdere l’unica moneta affidata (anche perché non ha fiducia nel padrone). Così il padrone punisce il terzo, sgridandolo perché è un fannullone.
«Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.»
Matteo 25, 27-28
Predisposizione naturale o abilità acquisita?
Entrambe.
Il talento diventa simbolo di un superpotere che si ha o per predisposizione naturale (Superman) oppure per acquisizione in seguito a impegno, studio, allenamento, pratica e, soprattutto, dedizione (Batman, Spiderman, Doctor Strange… non vi darò ulteriori esempi Marvel, rimarrò sul fiabesco).
La predisposizione naturale, ossia il nostro corredo genetico presente nel DNA, è qualcosa che non si comprende ancora nel dettaglio.
Vi sono pochissime evidenze scientifiche, ad esempio, che correlano la presenza di alcuni geni con le capacità musicali e linguistiche.
Qualche correlazione in più, invece, si ritrova in campo atletico: alcune varianti genetiche comportano un aumento dell’efficienza del metabolismo aerobico del glucosio a cui consegue un aumento della performance sportiva.
Pensiamo, però, a quei bambini che già da piccoli dimostrano una capacità di disegnare, distinguere i profumi, individuare gli stati d’animo, etc, fuori dal comune, non giustificabili nemmeno con l’ambiente sociale che frequentano o le attitudini dei genitori. Come mai sono così? Si sa ancora pochissimo al riguardo dell’origine del talento!
I talenti sono innumerevoli e assai diversi tra di loro
Tra le abilità più ammirate vi sono sicuramente quella atletica e musicale, le doti per i calcoli e le materie scientifiche, la capacità linguistica e comunicativa. Queste sono ricercate perché possono comportare guadagni economici non indifferenti… Però esistono tante abilità che passano in sordina perché meno commerciali. Me ne vengono in mente cinque: parlare al contrario con semplicità, riuscire a orientarsi anche nella nebbia, mangiare senza ingrassare, ricordare i nomi di tutti quelli che si incontrano, mantenere rapporti amichevoli per tutta la vita anche coi compagni delle elementari.
I nemici del talento
Dalla Marvel abbiamo imparato che qualsiasi supereroe ha i suoi nemici che possono trovarsi sia nell’individuo sia nell’ambiente circostante.
In questa newsletter parleremo di questi ultimi.
La bramosia e l’invidia rendono gli uomini rapaci
Scommetto che, rileggendo la parabola dei talenti, ti è tornata alla memoria la scena di quando il Gatto e la Volpe, furfanti nati dalla geniale penna di Carlo Collodi, hanno tentato di sottrarre le monete a Pinocchio facendogliele sotterrare. Pinocchio perde così il suo tesoro, come il terzo servitore della parabola citata poco fa.
Kestutis Kasparavicius: Pinocchio (acquarello)
Raperonzolo, la principessa dalla chioma lunghissima imprigionata in una torre da una strega invidiosa, nel momento in cui viene scoperta a usare i suoi capelli per amare un principe e dare vita a due bambini, viene brutalizzata e condannata a girovagare nel deserto senza più nulla a cui aggrapparsi.
La paura della diversità e della bellezza
Orecchiedoro, una principessa che può distinguere la verità dalla menzogna perché le Fate dei Venti le hanno regalato delle orecchie magiche, viene condannata a morire di stenti murata viva, nel momento in cui la sua abilità va a scuotere il mondo ordinario delle persone che le stanno accanto in quanto temono di essere sbugiardate.
La diversità fa sempre paura, basta seguire un paio di notiziari per prenderne atto. Quando la peculiarità dell’individuo viene ritenuta un difetto, però, scatena più sovente pena, mentre quando è vista come un pregio può risultare ostica da digerire e causare invidia e gelosia.
Si vede bene nella Bella Addormentata di Charles Perrault che, una volta svegliata dal Principe, rischia di morire cannibalizzata dalla suocera perché… ALT. Sei rimastə alla versione Disney che si conclude col bacio e il matrimonio di Aurora?
Louis Sussmann-Hellborn: La Bella durmiente. (Berlín, Alte Nationalgalerie).
In verità, voltando pagina e andando avanti a leggere, non si trova il e vissero felici e contenti ma si scopre che la Bella Addormentata ha sposato sì un principe… che però è figlio di un’orchessa… e da cui ha due bambini. (Non soffermiamoci a fare esercizi di genetica in stile “piselli di Mendel” su principe e progenie - rimandiamo a mai più).
Dopo la morte del re, il nostro sposino deve prendere il suo posto di regnante e così va ad abitare con madre, moglie e figli al castello. Quando nel regno accanto si inizia a combattere una guerra, lui decide di andare in aiuto del vicino e abbandonare la famiglia ben sapendo che la madre ha una predilezione spiccata per la carne umana (con tanto di cuoco tre stelle Michelin che può vantare un menù studiato ad hoc).
Durante la sua assenza, l’orchessa cercherà infatti di mangiare sia la nuora sia i nipoti… frutto dell’amore e della passione del figlio per una non-orchessa.
Per il tuo bene…
Di questo nemico sono maggiormente vittime i bambini e le donne perché visti come deboli da proteggere dalle cattiverie del mondo.
Lo sviluppare un talento, ossia applicarsi con studio e impegno, viene percepito dalla società odierna come una perdita di tempo qualora non sia subito visibile un ritorno economico. In un mondo sempre più veloce, l’impiegare anni per raggiungere una certa qualifica è più facile che sia criticato piuttosto che ammirato.
Capita che i primi detrattori siano i genitori… Una mia carissima amica, con un’abilità straordinaria nelle arti grafiche, ha assistito da piccolina alla scena raccapricciante di suo padre che le strappava con rabbia i disegni perché visti come mere perdite di tempo.
L’aggravante è il condimento che accompagna di sovente questi gesti brutali: «Lo faccio per il tuo bene: da grande capirai.»
Mentre la realizzazione della seconda parte della frase può costare diverse migliaia di euro in una terapia psicoanalitica (per chi ci crede), la prima fa leva su quel onorerai tuo padre e tua madre che ci viene inculcato al catechismo, generando un senso di inadeguatezza che porta ad abbandonare il cammino di scoperta del proprio superpotere.
…E pensare che quella sensazione di dipendenza psico-fisica che si instaura verso i genitori potrebbe essere combattuta con le stesse armi, ossia con una citazione del vangelo sinottico di Luca.
Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo.
Luca 14, 26.
In età adulta, le donne sono più soggette a essere ostacolate nel mettere a frutto il talento, anche se persino gli uomini possono incontrare tale difficoltà.
Nel momento in cui ci si impegna con passione a studiare o ad allenarsi, ecco che compare sempre una nutrita schiera di tiziə che sa meglio del talentosə cosa sia meglio per ləi.
Nella fiaba I cigni selvatici di Hans Christian Andersen, la protagonista deve tessere undici tonache in fibra di ortica per salvare i fratelli che sono stati trasformati in cigni da una maledizione. L’impegno richiesto è elevato, non solo per le vesciche che le sostanze urticanti della pianta le procureranno, ma anche perché, dal momento in cui coglie il primo fascio di ortica fino all’attimo in cui l’ultimo fratello indosserà il vestito, non potrà dire alcuna parola, pena la morte dei fratelli. Quando la ragazza viene accusata di stregoneria, il marito cercherà in tutti i modi di convincerla a parlare per salvarsi, senza sapere che rinunciare alla sua opera potrebbe comportare un prezzo ben maggiore.
Irina Vinnik: I cigni selvatici
Il conformismo è la morte della creatività
Nella divertente fiaba Il mugnaio, suo figlio e l’asino di Jean de la Fontaine si narra della difficoltà che incontra questo terzetto nell’andare al mercato perché il mugnaio continua ad ascoltare ciò che ha da dire la gente.
Per accontentare gli altri, che cambiano opinione senza sosta, una volta l’uomo scende dall’asino per far montare il figlio, un’altra sale con lui in groppa all’animale, una terza fa salire solo il figlio fino a quando rischia di raggiungere il mercato portando lui stesso il somaro sulle spalle.
Il mugnaio, ossia colui che ha il talento di trasformare il grano maturo nella farina che nutre l’uomo, si inginocchia al volere altrui fino a servire l’asino, animale non casuale perché gli antichi egiziani lo usavano spesso per rappresentare Seth, dio del disordine, dell'invidia, delle tempeste, del deserto e della violenza… In pratica tutto ciò che si contrappone al nutrimento dell’anima e alla creatività che è fedele e inseparabile compagna del talento, qualunque esso sia.
(Questa fiaba la conoscono in pochi, quindi spoilero il finale: l’uomo capisce di non poter sottostare ai capricci di tutti, smette di ascoltare i pareri contrastanti e vende l’asino al mercato come aveva deciso di fare dall’inizio).
Il mugnaio, suo figlio e l’asino era la fiaba preferita da mia nonna Francesca, secondo me perché, quando aveva dodici anni, si ammalò di “febbri reumatiche” e le fu predetto che non avrebbe mai superato i diciotto anni. La gente diceva che era inutile pensare di sposarsi e avere una famiglia… Se esisto è perché sia lei sia “l’Angelino”, colui che diventò mio nonno, non ascoltarono né la gente né il dottore (che aveva dunque sbagliato diagnosi e prognosi).
Ascoltare sé stessi per creare la vita che si desidera, vincendo la morte fisica e metafisica, è un talento che vorrei aver tanto ereditato dalla nonna Francesca!
La mancanza di opportunità e risorse
Nel mondo, la maggior parte delle persone non sa né quando né se mangerà, oppure rischia di morire (e veder morire i propri cari) di setticemia o simili visto che non abita in un luogo dotato di un sistema fognario.
Noi, pur abitando in una zona del pianeta che gode di innegabili privilegi, non possiamo ignorare che le nostre capacità potrebbero non avere mai l’occasione di germogliare e crescere.
A volte non dipende da noi, ma da opportunità, risorse a disposizione, conoscenze e anche da una casualità misteriosa, come si può leggere nella parabola del seminatore.
Gesù disse: «Ecco che uscì il seminatore. Egli riempì la sua mano e gettò una manciata di semi. Alcuni caddero sulla strada; gli uccelli arrivarono e li presero. Altri caddero sulla roccia; non presero radice nella terra e non poterono elevarsi le spighe verso il cielo. Altri caddero sui rovi; essi soffocarono la semenza e il verme li mangiò. Altri caddero sulla terra buona ed essa diede un frutto buono verso il cielo: e diede sessanta e centoventi per una misura».
Tomaso, Logion 9
Vincent van Gogh: Seminatore con sole che tramonta. (Olio su tela; Olanda, Kroller-Muller Museum).
La competizione vince il primo premio dei nemici del talento
Il nemico numero uno del talento è la gara, soprattutto quando è un germoglio che andrebbe solamente annaffiato e coltivato.
Il superpotere non ha nulla a che vedere col fare qualcosa meglio di altri, ma nel farlo in modo esemplare, ossia che funga da esempio e aumenti la bellezza della vita propria e altrui.
Ho conosciuto questo nemico a mie spese. Quando ero ragazzina mi piaceva fare pattinaggio artistico. A quel tempo amavo danzare sui pattini, ma non ero aggraziata. Alle gare arrivavo sempre ultima (addirittura ho incontrato un mio insegnante di pattinaggio dell’epoca che, dopo tre decenni, si ricordava ancora di quanto fossi penosa).
Per tanti anni non ho voluto nemmeno ballare in pubblico (lo facevo in privato perché mi dava molta gioia e mi faceva sentire bene), fino a quando, a trentasei anni, ho partecipato a uno stage di danza irlandese e mi sono poi data alle danze popolari. Lì ho scoperto di avere un vero talento… Peccato fosse tardi per coltivarlo al fine di trasformarlo in professione! (Ossa, muscoli e legamenti sono soggetti a invecchiamento, perdincibacco).
Nonostante dentro di me sentissi la passione per il ballo di qualunque tipo, mi sono fatta bloccare dai risultati che avevo ottenuto nelle gare.
Diverso è l’approccio alla competizione che si può avere dopo che un talento è stato esercitato ed è diventato una forza inarrestabile. Il confronto con gli altri può dare stimoli a migliorare… e in più ci si diverte perché si prende l’impresa per quello che è, ossia come un gioco che ci dà una buona scarica di adrenalina e occupa il tempo della nostra vita in modo piacevole.
La gara è un nemico che nasce come esterno per poi diventare parte dell’individuo stesso.
Utilizzando una triste metafora medica, potremmo paragonare la competizione a una sostanza cancerogena che, a lungo andare e in presenza di una predisposizione genetica, porta l’individuo a sviluppare un tumore, ossia cellule che si ammutinano e che possono prendere il sopravvento sull’individuo fino a sconfiggerlo in modo definitivo.
Anche la gara può avere questi effetti deleteri: non solo può annichilire il superpotere, ma anche distruggere noi stessi.
Molto interessante la questione del talento. Non mi ero mai soffermato a riflettere su questo argomento. Forse perché non credo di averne. Ma se dovessi proprio azzardare direi che forse è la vocazione artistica.
La faccio breve. Forse sì, il mio superpotere diciamo che è la predisposizione artistica che mi trascino sin da piccolo. E per essere onesto non ero nemmeno bravo, ragion per cui i miei genitori, fratelli e parenti mi hanno sempre dissuaso dal disegnare. È stata dura vivere con la completa assenza di supporto. Il colpo di grazia arrivò alle medie, scuola che non vedevo l'ora di frequentare per via delle ore di educazione artistica. E niente, il prof era un antico conoscente di mia nonna, con la quale aveva avuto dei trascorsi infelici e quando quello risalì alle mie origini addio. Anche se a detta dei compagni di classe i miei lavori erano notevoli, per il prof non erano che sufficienti per passare l'anno. Lo stesso dicasi per la sezione storiografica, anche se ero un secchione, quell'uomo non è stato capace di scindere l'alunno dal parente, che porca miseria non c'entrava nulla con gli screzi degli, allora, adulti.
Questo è il motivo per cui non ho frequentato il liceo artistico. Ricorda un po' la favola del padrone e dell'asino.
Il detto è gli occhi sono lo specchio dell'anima, ma lo specchio che riflette la nostra immagine a volte distrugge la nostra anima... Questo mi succede quando sono triste o arrabbiata e rivolgo lo sguardo allo specchio, ma quando sono serena e sicura di me l'immagine riflessa risulta vera e non distorta suggerendomi di amarmi di più e riflettere verso gli altri la luce che ho dentro che tendo a oscurare nonostante lo specchio non la cattura......
Sei stata bravissima a citare le varie favole dove lo specchio è inteso in tre varie forme, forme che siamo sempre noi e il nostro inconscio a dare fino a voler distorcere la realtà che tutti vedono o vogliono vedere