Solo il pifferaio magico riesce ad annegare i topi
Quando vorremmo fare l'impossibile, ma in realtà non abbiamo successo nemmeno col possibile
La lettura de Il pifferaio magico dei Fratelli Grimm durante la preadolescenza ha suscitato in me un desiderio potente e incontenibile: quello di diventare anch'io un’incantatrice.
Ho preso la fiaba così seriamente da insistere con i miei genitori perché mi iscrivessero alla scuola di musica della città. Nell'elenco degli strumenti disponibili, il piffero (o flauto dritto che la maggior parte di noi associa a quello di plastica che tutti abbiamo odiato alle medie) non compariva. Pertanto optai per il flauto traverso che, a parere mio, avrebbe persino ingentilito la mia persona (illusione perduta).
A parte rendermi conto che diventare incantatori non è semplice come sembra - la mia prima nota mi costò un mal di testa da iperventilazione - dovetti fare i conti con due realtà che la fiaba non contemplava:
la musica richiedeva di per sé impegno e studio
se si suonano musiche scritte da altri si finisce per essere incantati.
Il destino più plausibile di tutti noi sembra essere quello di diventare le persone che subiscono il fascino di altri, un tema che si intreccia in modo ottimale con quella che è stata designata come la giornata più malinconica dell'anno.
Informazione di servizio. Mamma, non sono io a dichiarare che il 15 gennaio sia il giorno più triste dell'anno. È frutto di un algoritmo globale che ha stabilito che il terzo lunedì di gennaio sia il momento in cui la maggior parte delle persone si sente svuotata, senza scopo, priva di speranza e pronta a cedere. Tua figlia si riserva il diritto di decidere autonomamente quando sentirsi triste, anche per più giorni, poiché uno le sembra davvero troppo poco.
Noi siamo Hamelin
Se solo potessimo vivere tutta la nostra esistenza come pifferai! Ma dobbiamo rassegnarci: siamo il perfetto emblema della cittadina di Hamelin.
Hamelin è il luogo storico dove, molto probabilmente nel XIII secolo, si verificò la tragica scomparsa di circa centotrenta bambini, le cui cause non sono ancora del tutto chiare (potrebbe essere stata la peste, un'alluvione o forse una migrazione verso la Transilvania).
Questa tragedia, col passare del tempo, ha dato vita a diverse narrazioni che, grazie alla penna dei Fratelli Grimm, sono state tramutate in una fiaba che è giunta alle nostre orecchie quando eravamo piccoli.
Lasciamo da parte il contesto storico e concentriamoci sulla fiaba...
Qual è l'elemento singolare che ci fa immediatamente aggrottare la fronte?
Nella fiaba, i topi topini ratti rattoni annegano.
Se c'è un animale che eccelle nel nuoto per chilometri e nel resistere in apnea per quasi tre minuti, nonostante sia terrestre, è proprio il topo. Dotato di un intuito formidabile, è il primo a lasciare una nave che sta per affondare e riesce a destreggiarsi anche in mare aperto.
La domanda che sorge spontanea è: come può dunque annegare nel fiume Weser?
Finalmente quando tutti i topi della città furono riuniti dietro a lui, il suonatore si avviò verso il fiume e le bestiole dietro, sempre più affascinate dalla musica magica. Il pifferaio entrò ad un tratto nell’acqua e quelli ancora dietro; avanzò ancora finché fu immerso fino al collo e i topi lo seguirono incantati e fiduciosi.
Egli allora si fermò in mezzo alla corrente e seguitò a suonare e i topi per un po’ nuotarono e poi, siccome da lui non potevano allontanarsi finirono per annegare tutti, nessuno escluso!
I Fratelli Grimm non svelano l’arcano, ci lasciano dubbiosi su come il pifferaio sia riuscito ad annegare le pantegane.
In ogni caso, ci riesce, sorprendendo la cittadina di Hamelin, che lo accoglie come se fosse l'arrivo di Gesù a Gerusalemme.
In effetti, non siamo forse sorpresi quando una ferita, sia essa fisica o morale, che ci ha tormentato per così tanto tempo da farci credere che sarà un compagno permanente, improvvisamente smette di dolere?
Ci svegliamo un giorno e ci accorgiamo che è diventata parte del nostro passato, simboleggiata dal fluire dell'acqua del fiume che trascina con sé tutta la nostra vita. A volte, resta solo una cicatrice, un tessuto di riparo che conferisce alla nostra pelle maggior resistenza.
Dopo aver ottenuto l'improvvisa libertà da qualunque mostro ci affligga, è imperativo evitare di commettere l'errore del sindaco, che rifiuta di sborsare mille monete d'oro, una richiesta che, almeno inizialmente, non sembrava eccessiva al primo cittadino alle prese con una situazione irrisolvibile.
Ma perché tale rifiuto?
Per avarizia, come suggerisce la fiaba?
Oppure perché i topi sono tornati?
A tali domande è possibile rispondere solo individualmente, poiché dipendono dalla propria narrazione personale.
Possiamo riflettere sulla possibilità di allontanare definitivamente la bestia che corrode la nostra creatività e ci fa ammalare l'anima.
Oppure, possiamo considerare che la battaglia contro i topi sia senza fine, una sfida destinata a durare per tutta la nostra vita.
Un'alternativa consiste nel trasformare i topi stessi in una forma d'arte, magari in un quadro, una composizione musicale o una narrazione.
Questo è il nucleo su cui concentrarsi.
Come la cittadina di Hamelin, tutti noi dobbiamo affrontare i nostri topi personali e fare scelte. Possiamo decidere di convivere con essi o di liberarcene. Tuttavia, per farlo, è necessario essere consapevoli del prezzo da pagare. Non possiamo sperare di evitare rinunce o sforzi. Altrimenti, il rischio diventa persino maggiore rispetto a quello di mantenere i topi… E la fiaba è chiara su questo punto.
Il pifferaio, che abbiamo detto essere inizialmente accolto come Gesù, non porge però nessun’altra guancia… passa alla vendetta!
I bambini vengono portati via fino a scomparire all'interno di una grotta, nascosta nelle profondità di una montagna… Il nostro futuro, anche quello più promettente, viene ingoiato dal nucleo profondo della Terra.
E questi non smise di suonare, anzi la sua musica diventò più dolce e persuasiva e nella mente dei bambini faceva nascere visioni di città tutte balocchi, di città tutte dolci, senza scuole, senza adulti che volevano comandare a ogni ora del giorno. E la schiera ingrossava sempre più e tutti i componenti erano felice e ridevano, e tenendosi per mano cantavano seguendo sempre più affrettatamente il pifferaio.
Il pifferaio suona e procede nella sua vendette, i bambini lo seguono incantati, mentre i genitori cercano di fermare i figli, correndo però senza mai riuscire a raggiungerli.
Questa rappresenta un'altra stranezza se si legge la fiaba come un resoconto storico, ma diventa meno enigmatica quando ci si ricorda di alcuni aspetti della nostra infanzia.
Ad esempio, la gioia derivante dal semplice atto di correre in un prato, un'attività completamente separata dalla competizione in una gara d'atletica o dalla necessità di allenarsi per perdere peso. O ancora, la sensazione di infinito che colmava l'anima quando ci immergevamo in un gioco appassionante che ci faceva dimenticare persino d’aver fame.
Un piccolo ricordo di quella sensazione basta a far emergere l'angoscia nel riconoscere che molto probabilmente non sperimenteremo più tale sensazione.
Dopo quest’ultima frase, mi pare di aver aggiunto la ciliegina sulla torta alla giornata più triste dell'anno...
Non andrà mai tutto bene! Oppure sì?
Ora, considerando che è il 16 gennaio, possiamo finalmente aprirci alla speranza: alcune versioni della fiaba ci rassicurano affermando che tre bambini siano rimasti ad Hamelin perché non sono riusciti a stare al passo con gli altri. Una bimba non vedente, un bambino claudicante e uno troppo piccolo per riuscire a camminare bene.
Come cittadina di Hamelin, potremmo (forse) salvarci in tre modi:
facendo leva sul nostro intuito, cioè smettendo di guardare solo con gli occhi
mantenendo un piede nel mondo pragmatico, dove dobbiamo badare alle bollette e mangiare, e l'altro nella nostra immaginazione, comportamento che ci farà zoppicare e ci farà apparire menomati
recuperando quella capacità di meravigliarci, fare domande e giocare che avevamo quando eravamo molto piccoli.
Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino non vi entrerà.
Luca,18,17
Super brava Liz! Chiama Lucy!
Quindi mi dai ragione ,inutile rincorrere un sogno imitando le doti di un altro ,tu hai una dote naturale nel incantare l'attenzione di chi ti legge perché le tue opere riescono a trasportare anche se se solo per qualche ora la nostra immaginazione a livelli che vanno oltre il possibile e ne puoi essere fiera ,come lo sono io quando vedo uscire dal negozio un cliente felice e soddisfatto con il suo acquisto perché di è fidati del mio consiglio (faccina con occhiolino)